Punto di vista

Migranti ambientali, l’altro prezzo dei cambiamenti climatici


Migranti ambientali

Quando si guarda ai cambiamenti climatici spesso si presta attenzione unicamente a quelli che sono gli effetti meteorologici su larga scala o quelli legati al territorio. Tuttavia le conseguenze del riscaldamento globale vanno ben oltre, fino a cambiare radicalmente la vita di molte persone. Tra queste anche coloro che possiamo definire migranti ambientali.

Le immagini trasmette da tv e siti web spesso portano a vedere nei rifugiati ambientali una massa indistinta di profughi. Si tratta al contrario di uomini e donne costretti a lasciare la propria terra a causa di eventi meteorologici estremi come alluvioni o condizioni di estrema siccità. Non sempre si trasferiscono al di fuori della nazione in cui sono nati e cresciuti. In alcuni casi i mutamenti climatici li spingono anche a migrazioni all’interno dei confini nazionali.

La sostanza però cambia poco in queste circostanze. Si tratta in entrambi i casi di persone strappate alla propria vita da qualcosa che non è praticamente quasi mai una loro responsabilità. Nel corso degli anni sono entrata in contatto con diversi di loro. Persone con una dignità incredibile, ma che sono state costrette a terribili compromessi per tentare di ricostruire un futuro per sé e per la propria famiglia.

Migranti ambientali e cambiamenti climatici

Chi abbandona la propria terra a causa dei cambiamenti climatici non lo fa semplicemente per ottenere condizioni economiche migliori. Lo fa perché non è possibile comportarsi diversamente. Si parla di un numero di persone compreso tra 25 milioni e 1 miliardo. A sostenerlo l’ultimo dossier di Legambiente intitolato “I migranti ambientali. L’altra faccia della crisi climatica”. L’associazione ambientalista sottolinea inoltre come i cambiamenti climatici siano la causa o concausa di circa il 70% degli arrivi di migranti in Italia negli ultimi 4 anni.

Per capire la reale e crescente portata del problema occorre dare un’occhiata ad alcuni numeri contenuti nel dossier. Ad esempio quello relativo ai conflitti verificatisi nel 2020, che nel 95% dei casi sono avvenuti in Paesi “ad alta o altissima vulnerabilità ai cambiamenti climatici e degrado ambientale” (dati IDMC). A preoccupare ulteriormente è l’andamento dei flussi migratori, anche in virtù dei dati forniti dall’UNHCR (Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati):

L’86% degli sfollati migrati fuori dal proprio Paese è ospite di nazioni in via di sviluppo, anche esse tra le più vulnerabili dal punto di vista climatico e ambientale.

All’interno del report viene sottolineato inoltre il ruolo dei cambiamenti climatici nell’aumento vertiginoso del numero di migranti in generale. Secondo il report Global Trends dell’UNHCR l’aggravarsi della crisi climatica ha portato a migrare, nel solo 2020, 82,4 milioni di persone. Di queste il 42% sono risultati essere minori. Un numero più che raddoppiato rispetto ai poco meno di 40 milioni registrati nel 2010. Incrementato del 16,4% in appena due anni (70,8 milioni di migranti, dati 2018).

Rifugiati ambientali, cercasi riconoscimento internazionale

L’ONU ha indicato in più occasioni l’esistenza di un crescente flusso migratorio legato ai disastri ambientali innescati dal riscaldamento globale. Da questi numeri non è però possibile estrapolare i dati relativi ai soli migranti ambientali. Perché no? Il motivo è semplice: il colpevole ritardo nel riconoscere la figura del migrante ambientale e climatico da parte della legislazione internazionale.

Sorprende quindi che ancora non si sia giunti a una definizione concorde relativi ai “rifugiati ambientali”. Una questione della massima urgenza secondo Vanessa Pallucchi, vicepresidente nazionale di Legambiente:

Le migrazioni sono una sfida globale che non può rimanere nel dibattito interno. A oggi, lo ricordiamo, la mancanza di un riconoscimento internazionale della figura dei ‘rifugiati ambientali’ è un vuoto normativo da colmare il prima possibile, sebbene anche a livello nazionale ed europeo sia possibile formalizzare nei loro confronti il riconoscimento del diritto d’asilo.

Perciò chiediamo al Governo e al Parlamento italiano di ampliare le forme di protezione nazionale per tutelare chi fugge dagli effetti della crisi climatica, e di farsi portavoce per rendere queste istanze attuabili oltre i confini degli Stati-nazioni.

Crisi climatica e rifugiati ambientali, cosa possiamo fare?

Qualcuno potrebbe affermare che singolarmente possiamo fare ben poco per sostenere i migranti ambientali. Questione chiusa? Direi proprio di no, dato che il clima cambia a causa delle emissioni di tutti noi. Quindi tutti dobbiamo dare il nostro contributo per ridurle, adottando uno stile di vita e facendo acquisti che prevedano un minore impatto ambientale.

La gestione dei migranti ambientali dovrebbe riguardare la politica internazionale, che in virtù di uno spirito umanitario e coraggioso dovrebbe intervenire con urgenza. Da un lato arginando la crescente crisi climatica e l’intensificarsi dei fenomeni meteorologici estremi. Dall’altro fornendo sostegno e quando necessario accoglienza a coloro che sono costretti a migrare per sopravvivere.

Singolarmente dobbiamo sostenere movimenti e associazioni che chiedono a gran voce l’impegno degli Stati contro i cambiamenti climatici. Azioni reali, coraggiose e concrete, non soltanto promesse di facciata.

Senza contare tutto ciò che possiamo fare quotidianamente per ridurre il nostro impatto sul clima. Evitare gli sprechi di acqua, energia, cibo, prodotti e utensili, tanto per cominciare. Preferire mezzi di spostamento sostenibili e orientare i nostri acquisti verso beni e servizi che non hanno impattato in maniera pesante sull’ambiente. Meglio ancora se a impatto zero. Chiaramente non risolverà gli attuali problemi che gravano sui migranti ambientali. Contribuirà però a far sì che in futuro ci siano meno persone costrette a compiere viaggi, ai limiti della sopravvivenza, per sfuggire agli effetti della crisi climatica.

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