Punto di vista

Nel fondo di caffè ho letto troppa sofferenza


Ho scelto il caffè equosolidale contro i paradossi di un’industria ricchissima costruita sull’iniquità

Tessa_Caffè_cover

Ordini un caffè, paghi l’euro che vale, lo bevi in un sorso e via. Un operazione che ognuno di noi compie anche due o tre volte al giorno. Uno dei più piccoli e semplici piaceri quotidiani. Ma siamo sicuri che valga soltanto un euro? C’è un mondo dietro a quella tazzina, nel vero senso della parola. E non è sempre il mondo che vorremmo.

 

Il caffè è una di quelle spezie che hanno fatto la storia dell’umanità e che oggi ogni paniere dei consumi contiene come riferimento per valutare l’inflazione. E’ facile comprendere allora i quasi 200 milioni di euro che ogni giorno si muovono lunga la filiera che dal campo porta i chicchi nelle nostre tazzine. Ma sono milioni che si muovono soprattutto verso l’alto. Se li godono in pochi.

 

Negli anni il prezzo di questa spezia ha conosciuto alti e bassi clamorosi che ciclicamente attirano nuovi coltivatori a intraprendere la produzione quando i prezzi sono alti per farli rimanere poi in braghe di tela quando i prezzi scendono. In particolare queste fluttuazioni sono dovute a un’eccessiva offerta che deriva anche dai cicli di produzione biennale tipici di questa coltivazione.

 

Se poi consideriamo che come tutte le grandi monocolture intensive il caffè è esposto a pesti pericolosissime come il fungo della ruggine che ha devastato nel 2013 le colture centroamericane, appare subito chiaro che il mondo della tazzina per milioni di persone rappresenti un’opportunità quanto una trappola in cui è fin troppo facile infilarsi.

 

In effetti noi consumatori finali non ci accorgiamo di tutte queste fluttuazioni perché le nostre tazzine hanno continuato a crescere di prezzo come se nulla fosse. Infatti è un problema che non riguarda le grandi marche e quindi nemmeno noi. Anzi per le grandi marche, a ben vedere, le fluttuazioni rappresentano un vantaggio per come è fatto lo strano mercato globale del caffè: la domanda è enorme ma costante e l’offerta la supera di gran lunga, per chi compra i chicchi è facile fare aste al ribasso ai danni di chi non può fare la voce grossa (i coltivatori) e si trova impigliato nelle proprie stesse piante. Il prezzo ai consumatori finali, in definitiva, non viene fissato quindi dalla disponibilità del prodotto.

 

Coffee_farmer_in_Brazil

(Foto www.usaid.gov – Bom Dia cafe)

 

Ecco come funziona. Quando pensate ai piantatori di caffè non pensate a grandi fazenderos brasiliani: il 75% dei contadini che puntano sulla tazzina sono piccoli agricoltori che subiscono i prezzi al ribasso imposti dai distributori. Intermediari locali delle grandi compagnie comprano a prezzi indecenti dai coltivatori che si massacrano nei campi per sopravvivere in condizioni al limite. Gli intermediari, poi, vendono, costruendo un grande profitto, alle multinazionali che tostano e confezionano chicci e polveri sottopagando a loro volta la manodopera industriale locale prima di tornare a vendere a prezzi di mercato nei paesi compratori.

 

Questo è l’aspetto economico, ma siccome sul bagnato piove sempre tanto, la coltivazione del caffè richiede enormi quantità di pesticidi e il lavaggio dei chicchi a livello industriale richiede l’impiego di sostanze tossiche che finiscono nelle falde acquifere rendendo il tumore letteralmente una malattia professionale per chi lavora nei campi e nelle prime fasi della raccolta. Vogliamo aggiungere poi che l’80% delle coltivazioni di caffè in Brasile, Colombia e Sud Est asiatico hanno divorato foreste primarie di enorme valore ecologico (parliamo di quasi 9 milioni di ettari, una superficie pari a quella dell’Austria) il quadro è completo. Se siamo esseri umani, non c’è zucchero o dolcificante che possa farci mandare giù una pozione dal retrogusto tanto pessimo.

 

Ma se state pensando che vi voglia convincere a rinunciare alla vostra tazzina quotidiana vi state sbagliando e di grosso. Per me il caffè è soltanto equo e solidale biologico perché so che quello commercializzato attraverso questo circuito proviene per lo più da cooperative di agricoltori cui vengono garantiti prezzi equi in cambio della certificazione di una coltivazione sostenibile rispettosa dell’ambiente e degli esseri umani che scendono nei campi. Ultimamente anche alcune grandi marche come Illy o Lavazza (ma anche molte altre) sembrano essersi impegnate nel ridurre le ingiustizie del sistema in cui si trovano a operare (lo dichiarano quanto meno). In attesa di avere prove provate di un vero cambio di rotta delle multinazionali, tuttavia, preferisco spendere qualche euro in più per il caffè bio ed equosolidale, berne qualcuno in meno (e male non fa, specialmente al cuore) ma essere certa che non mi rimanga un retrogusto amaro incancellabile dopo aver posato la tazzina. Amo fare le cose a cuor leggero, anche bere un caffè.

 

 

 

 

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3 Comments

  • Reply
    Fabio - Faraone986 IG
    8 Maggio 2015 at 11:04

    Hai ragione, altrimenti lascerebbe troppo amaro in bocca…e nel cuore.Brava Tessa, sei la numero uno!

  • Reply
    Fabio - Faraone985 IG
    8 Maggio 2015 at 11:05

    Hai ragione, altrimenti lascerebbe troppo amaro in bocca…e nel cuore.Brava Tessa, sei la numero uno!

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