Mai come in questo periodo il tema del ritorno all’energia nucleare è tornato al centro del dibattito pubblico. Complici anche le ormai imminenti elezioni politiche, e la crisi energetica che tutta Europa sta vivendo, sono molti i cori che si sono sollevati per chiedere che l’Italia torni al più presto all’atomo. “Possiamo farcela in una decina d’anni”, spiegano gli appassionati sul web, in particolare sui social network, dove la conversazione è più che mai polarizzata tra sostenitori e contrari alle centrali nucleari. E mentre utenti ed esperti discutono fra loro, la politica se ne approfitta, cavalcando la questione per la corsa all’ultimo voto.
Eppure, per chi non avesse ancora maturato un’opinione in merito al nucleare, imbattersi nel proclama del politico di turno rischia di essere fuorviante. Sì, perché quando si parla di un tema così complesso e delicato, è necessario “non farsi fregare dalla politica”. Perché se essere a favore o d’accordo al nucleare riguarda le convinzioni più che legittime del singolo, abbassare il dibattito a slogan elettorali o promesse irraggiungibili è un danno per tutta la collettività. Cosa dobbiamo quindi sapere sull’energia nucleare? E, soprattutto, entro quanto può essere realizzata, quali sono i benefici, quali i rischi e come si inserisce in un processo di transizione verso energie sempre meno impattanti? Ho deciso di raccogliere alcune informazioni e dati per voi.
Il nucleare in Italia, tra politica e referendum
Forse non tutti lo ricordano, ma l’Italia ha avuto la sua era nucleare. Dal 1964 al 1990, quattro centrali nucleari risultavano in funzione: quelle di Latina, Sessa Aurunca (Caserta), Trino (Vercelli) e Caorso (Piacenza). Nel 1986, durante il picco della produzione di energia nucleare sullo Stivale, si sfioravano i 9 terawattora: una quota non indifferente, ma decisamente inferiore ad altri Paesi europei come Francia, Germania e Regno Unito.
Il 1986 fu però anche l’anno del disastro nucleare di Chernobyl, un incidente di una gravità talmente elevata da modificare le opinioni sul nucleare di gran parte della popolazione. E così, l’anno successivo, i Radicali promossero tre referendum abrogativi. La partecipazione alle urne fu massiccia e tutti i quesiti superarono il quorum, portando in pochi anni allo spegnimento delle centrali nucleari in Italia.
Verso la fine degli anni 2000, la politica si interessò nuovamente allo sfruttamento dell’energia nucleare sullo Stivale: ad esempio, nel Piano Energetico Nazionale del quarto governo Berlusconi, il ritorno all’atomo venne esplicitamente previsto. Venne così promosso un secondo referendum, guidato da Italia dei Valori, che riuscì a superare il quorum e ribadì la contrarietà della popolazione al rilancio delle centrali nucleari, con il 94% dei voti.
Undici anni più tardi, e nonostante il risultato dei due precedenti referendum, la questione nucleare è tornata con una certa prepotenza all’interno dell’agenda politica dei partiti. E non si può escludere che all’orizzonte possa apparire un nuovo quesito referendario da sottoporre agli italiani.
Le posizioni dei partiti
Sebbene del ritorno al nucleare se ne discuta ormai da qualche tempo, è nell’ultimo anno che la questione è tornata di stretta attualità. Il dibattito è accesissimo in Rete, dove sostenitori e contrari si danno vera e propria battaglia a colpi di tweet, ma anche la politica è tornata a interessarsene. E con la campagna elettorale nel vivo, e le elezioni ormai alle porte, non stupisce che l’atomo sia tornato nei programmi elettorali per la chiamata alle urne del 25 settembre.
Una campagna elettorale senza esclusione di colpi
il tema nucleare è entrato con una certa prepotenza nella campagna elettorale in vista delle elezioni politiche, tra chi ne ha fatto un cavallo di battaglia e chi, invece, vi si contrappone con tutte le forze. E, poiché spesso l’opinione degli esperti – sia favorevoli che contrari – viene relegata al web, sui media più generalisti sono i politici a essersene occupati. E tra slogan, strafalcioni e mezze verità, la confusione è più elevata che mai.
Nucleare di quarta generazione
Chiunque abbia assistito a un dibattito politico nelle ultime settimane, l’avrà sentito nominare più e più volte: il nucleare di quarta generazione.
Ma cosa si intende per nucleare di quarta generazione e perché se ne parla così tanto? E, soprattutto, si tratta di una tecnologia che possiamo già sfruttare?
Così come avevo già spiegato in un mio intervento dello scorso dicembre, esistono quattro generazioni di centrali nucleari, che differiscono fra loro per avanzamento tecnologico, sicurezza, capacità di produzione e quantitativi di scorie. Senza entrare nel dettaglio delle ormai vetuste centrali di prima e seconda generazione, come quelle un tempo attive in Italia, la maggior parte degli impianti mondiali è di terza generazione. Nate proprio in risposta ai problemi di sicurezza emersi con le centrali di seconda generazione – in particolare le RBMK russe, tra cui i reattori di Chernobyl – sono state pensate per includere sistemi avanzati di sorveglianza e sicurezza, sia per quanto riguarda la resistenza costruttiva degli impianti che la gestione del nucleo. Queste centrali approfittano infatti di sistemi di sicurezza passiva che, senza intervento umano e anche in assenza di energia elettrica, possono bloccare le reazioni del nucleo del reattore in caso di anomalie.
La quarta generazione del nucleare è un’ulteriore evoluzione di questo paradigma, pensate non solo per aumentare ulteriormente la sicurezza ma anche ridurne l’impatto ambientale. Poiché sfruttano uranio naturale anziché arricchito, producono pochissime scorie radioattive che possono, inoltre, essere “riciclate” per produrre nuova energia. Inoltre, nelle configurazioni più avanzate il raffreddamento del nucleo non avviene impiegando acqua, ma altri elementi chimici che possono garantire maggior controllo nella gestione delle temperature.
Proprio poiché considerate più sicure e meno impattanti delle centrali di terza generazione, i partiti che sostengono il ritorno al nucleare ne parlano in continuazione. Ma esiste il nucleare di quarta generazione? O, meglio, si tratta di una tecnologia già disponibile? Per quanto alcune centrali di quarta generazione esistano in Cina e in Russia, si tratta di progetti pilota\dimostrativi o prototipi non ancora disponibili su larga scala. Se ne parlerà dopo il 2030 per un’effettiva diffusione a livello commerciale, quindi di fatto si tratta di una tecnologia non immediatamente sfruttabile. Perché solo tra 10 anni si potrà iniziare a pensare e progettare la loro costruzione, che poi necessiterà di ulteriore tempo.
Inoltre, così come evidenziato da Alessandro Dodaro – Direttore del Dipartimento Fusione e tecnologie per la Sicurezza Nucleare dell’Enea – durante una recente puntata di “Si può fare” di Radio24, la situazione italiana è diversa da quella di altri Paesi europei, perché sul nucleare deve ripartire da zero. Se si dovesse decidere di costruire una centrale nucleare tricolore a partire dai mesi immediatamente successivi alle elezioni, si tratterebbe comunque di un reattore di terza generazione: la quarta – meglio rimarcarlo – non è ancora disponibile commercialmente.
Energia davvero pulita con le scorie?
Altro cavallo di battaglia di questa campagna elettorale, l’energia nucleare spacciata come fonte più pulita attualmente disponibile. Questo perché, chi se ne fa promotore, sottolinea come le centrali nucleari emettano in atmosfera soltanto vapore acqueo. Per quanto ciò sia vero,, è altrettanto vero che simili dichiarazioni non guardino alla questione su tutti i fronti.
La fissione nucleare non è una fonte energetica a zero impatto sull’ambiente, per un semplice motivo: la produzione di scorie radioattive. I promotori tengono a sottolineare come gli impianti di terza generazione producano quantità ridotte di scorie, tanto che quelle italiane potrebbero essere raccolte tutte in un campo da calcio, ma la questione non è soltanto di stoccaggio. Innanzitutto, bisogna sottolineare come l’Italia non abbia ancora un deposito unico per le scorie radioattive e non abbiamo ancora messo in sicurezza quelle del passato. Ancora, non bisogna dimenticare che produrre scorie – tante o poche che siano – significa lasciarle in eredità alle generazioni future, poiché rimangono radioattive per migliaia di anni e non esiste un posto sicuro al 100% dove metterle.
Sicurezza e costi
In queste settimane antecedenti alle elezioni, si sta parlando molto anche di sicurezza degli impianti nucleari. Questo soprattutto perché l’attualità ci costringe a ritornare con i piedi per terra: le notizie provenienti dalla centrale di Zaporizhzhia, finita al centro delle tensioni fra Russia e Ucraina, ha destato preoccupazione in tutta Europa. Tanto che l’Aiea – l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica – ha auspicato l’implementazione di una safe zone nei pressi dell’impianto. Insomma, l’incidente ci può scappare. Niente è sicuro al 100%, ma se si ha a che fare con una centrale nucleare…
E per i costi? Costruire reattori non è economico, servono miliardi di euro, e la stima non sempre è conclusiva perché spesso vi sono variazioni e cambi di itinere. L’Iea spiega come, a livello mondiale, la costruzione di una centrale nucleare richieda all’incirca 7 anni. Ma ci sono casi, come quello di Flamanville in Francia, che hanno richiesto molto più tempo. Iniziata nel 2007 e attesa nel 2021, non verrà finita prima del 2023: il costo stimato di 3.3 miliardi si è innalzato fino a 12.7 miliardi di euro.
Rinnovabili nemiche?
Vi è un elemento a dir poco singolare che sta caratterizzando il rinnovato vigore che sta ottenendo la discussione sull’atomo. Nei dibattiti sui media generalisti e sui social, il focus è raramente sull’energia nucleare come alternativa meno impattante – almeno in termini di gas climalteranti – rispetto a fonti fossili quali petrolio, carbone e gas. L’atomo viene quasi sempre messo in contrapposizione alle rinnovabili, queste ultime spesso descritte quasi fossero il male supremo. E perché una simile contrapposizione, quando è più che evidente che tutti gli sforzi attuali debbano essere rivolti al superamento delle fossili già elencate, poiché le più dannose in termini ambientali?
I toni spesso sono poco edificanti, quasi infantili: nelle discussioni televisive – spesso inutilmente urlate – si sente dire che “di notte con il fotovoltaico non produci energia, con il nucleare sì”. E sebbene sia vero che il nucleare abbia un “capacity factor” decisamente più alto rispetto a quello delle rinnovabili, che sono più altalenanti per loro natura, la critica appare abbastanza miope. È infatti riduttivo parlare delle rinnovabili con pregiudizi di decenni fa quando, effettivamente, risultava molto difficile immagazzinare l’energia prodotta da questi fonti. Ma oggi il discorso sulle rinnovabili va di pari passo con quello dello sviluppo dei sistemi di storage (stoccaggio), proprio per ovviare al problema dell’approvvigionamento nei momenti in cui il sole manca o il vento è assente.
Poca realtà: il problema è un altro
Tutte queste discussioni sul nucleare – e ben vengano, quando aiutano i cittadini a comprendere temi per loro natura decisamente complessi – hanno cancellato dalla campagna elettorale una riflessione più profonda sui tempi complessi che stiamo vivendo. Se dovessimo optare per l’atomo, le prime centrali nucleari tricolore non vedrebbero la luce prima di una decina d’anni. Ma i cambiamenti climatici sono già qui, non possiamo più rimandare: se non agiamo ora, non è detto che fra 10 o 20 si riesca a invertire la rotta. Le rinnovabili sono già mature, economiche, sicure e in pochi mesi potremmo cambiare il profilo energetico del Paese ottenendo una vera indipendenza.
Fra dieci anni il nucleare? Parliamone, ma come vogliamo agire ora? Vogliamo continuare a fingere che il problema climatico non esista, delegando sempre al futuro azioni che il Pianeta ci richiede di intraprendere ora? Notare che ben pochi programmi elettorali includano proposte o idee su come agire già nei prossimi mesi, di conseguenza, mi ha lasciato delusa.
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