Ne siamo letteralmente invasi, tra packaging alimentare di ogni genere e prodotti usa e getta sempre più diffusi: la plastica monouso è ovunque. E la troviamo anche sulle spiagge, nei prati e nei boschi, addirittura libera di galleggiare nei corsi d’acqua e nel mare. Eppure, nonostante i recenti divieti approvati a livello europeo, poco sembra essere cambiato. Non solo perché le normative non coprono ancora una selezione sufficientemente ampia di prodotti usa e getta, ma anche perché i produttori hanno trovato facili escamotage alle norme in vigore. Considerando gli effetti nefasti che questa plastica ha sul nostro Pianeta, la domanda allora sorge più che lecita: cosa stiamo aspettando?
L’inquinamento attuale da plastica monouso
Non si può dire che quello della plastica monouso non sia un problema globale, purtroppo destinato a diventare sempre più esteso nei prossimi anni. Secondo recenti ricerche scientifiche, nel 2020 sono state prodotte 464 milioni di tonnellate di plastica usa e getta, una cifra destinata a raddoppiare – raggiungendo gli 884 milioni di tonnellate – entro il 2050. Considerando quella già accumulata nelle discariche di tutto il mondo, o abbandonate nell’ambiente, si raggiungerà una quantità di 4.725 milioni di tonnellate di plastica monouso totale, che non sapremo come gestire.
Purtroppo, solo il 9% di questa plastica viene efficacemente riciclata e, fatto non meno importante, anche nei Paesi che hanno approvato normative restrittive, la situazione è drammatica. Ad esempio l’Italia, che ha recepito le direttive europee sul divieto di alcuni prodotti usa e getta, produce 5 milioni di rifiuti plastici l’anno, di cui quasi il 30% monouso.
Gli effetti ambientali da plastica monouso
Gli effetti sull’ambiente di questa iper-produzione sono a dir poco allarmanti. La plastica rappresenta infatti un inquinante di lungo periodo – a seconda del polimero usato, può impiegare dai 100 agli 800 anni per degradarsi completamente nell’ambiente – di difficile smaltimento. E, fatto non meno importante, nel suo processo di degradazione genera microplastiche, che oggi rappresentano una delle più gravi minacce agli ecosistemi e anche alla salute umana.
In particolare, la plastica usa e getta abbandonata nell’ambiente è responsabile:
- di ingenti danni alla fauna marina e terrestre. Ogni anno si perdono più di un milione di uccelli marini per l’ingestione accidentale di frammenti di plastica. Ancora, residui di questo materiale vengono ormai trovati negli stomaci nella quasi totalità di cetacei, tartarughe e delfini, quando non causa morte per strangolamento o per asfissia;
- dell’alterazione degli habitat naturali, perché impedisce il corretto sviluppo delle specie vegetali spontanee, blocca il normale flusso dei corsi d’acqua, incentiva la crescita di alghe dannose e riduce l’ossigenazione di mari e oceani;
della contaminazione dei terreni e le falde acquifere, rilasciando additivi chimici impiegati in fase di produzione, con effetti devastanti sia per gli ecosistemi che per la stessa salute animale e umana.
Le normative vigenti in Europa e in Italia
Da qualche anno a questa parte, l’Unione Europea ha approvato alcune normative – come la Direttiva 2019/904, nota anche come Direttiva SUP – per cercare di regolamentare la diffusione della plastica monouso. Ad esempio, a partire dal 2021 non è più possibile produrre e commercializzare:
- sacchetti di plastica ultrasottili;
- posate e piatti di plastica;
- bastoncini per cotton fioc e per palloncini;
- agitatori per bevande;
- tappi staccabili per bottiglie di plastica;
- filtri per sigarette completamente in plastica;
- tazze per bevande take-away.
Come facile intuire, l’obiettivo è quello di ridurre la produzione di rifiuti di piccola dimensione, o comunque maggiormente inclini a decomposizione in frammenti, ovvero i prodotti in plastica più pericolosi a livello ambientale. In Italia, la SUP è stata recepita con il D.Lgs. 116/2020, che conferma i divieti già elencati, oltre quelli già posti in essere, come l’eliminazione delle borse per la spesa monouso e dei sacchetti per frutta e verdura.
Ancora, per il futuro, l’Europa punta a target del 90% entro il 2029 di raccolta separata per le bottiglie di plastica, imponendo per lo stesso anno almeno il 25% di plastica riciclata per le bottiglie PET. Infine, da agosto 2026 dovrebbe entrare in vigore la plastic tax su imballaggi non riciclabili, anche se si attendono ulteriori conferme.
Eppure, nonostante questi sforzi, ancora molto deve essere fatto. Innanzitutto, perché un numero crescente di produttori sta adottando escamotage per eludere gli obblighi di legge. Poi, perché i divieti attuali non coinvolgono un gran numero di prodotti, che rappresentano oggi oltre il 40% della plastica monouso circolante.
Gli escamotage adottati dai produttori
La notizia è di poche settimane fa: il Ministero dell’Ambiente francese ha dovuto richiamare ufficialmente i produttori di prodotti in plastica monouso, specificando che non basta “meramente aggiungere un’etichetta riutilizzabile su un prodotto monouso, per esentarlo dalle restrizioni”. Ed è proprio questo il principale escamotage adottato per continuare a vendere plastica in realtà vietata, di cui avevo parlato in un mio video: applicare l’etichetta “riutilizzabile” su prodotti, come posate in plastica, che in realtà non verranno mai usati una seconda volta.
Ancora, in alcuni Paesi europei sono stati rilevati prodotti vietati, venduti perché “rimanenze di magazzino”, in realtà probabilmente prodotti dopo l’entrata in vigore del divieto. Dei raggiri che rendono ancora più complicato il raggiungimento degli obiettivi europei.
Cosa si deve ancora fare a livello di legge
Nonostante i progressi delle recenti normative, a livello di legge molto deve essere ancora fatto. Restano infatti escluse dai divieti diverse categorie di prodotto – dai sacchetti con spessore superiore ai 15 micron, alcuni imballaggi alimentari e le plastiche di sigillo delle confezioni – che rappresentano oltre il 40% di tutti i rifiuti monouso in circolazione. Ancora, non vi sono ancora limitazioni specifiche per pellicole per alimenti, cibi industriali impacchettati singolarmente, involucri per frutta e verdura che potrebbero essere facilmente sostituiti da altri materiali.
Un passo fondamentale sarebbe quello di introdurre una Responsabilità Estesa del Produttore (ERP) – così come avviene per altri settori, come ad esempio nel fotovoltaico – che impone a chi produce plastica monouso di partecipare attivamente nel riciclo, pena pesanti sanzioni. Allo stesso tempo, sarebbe utile introdurre incentivi e sgravi fiscali per tutte quelle aziende che decidono di utilizzare materiali più sostenibili o compostabili per i loro prodotti.
Cosa possiamo fare noi contro la plastica monouso
Allo stesso tempo, dove non arriva la legge possono far molto le scelte di consumo dei singoli cittadini. Non serve infatti un divieto, per iniziare sin da subito a ridurre – o, meglio ancora, escludere – la plastica monouso nella propria vita. Ad esempio, è possibile:
- scegliere sempre prodotti con packaging minimo, meglio se in carta o cartone;
- evitare l’acquisto di bottiglie in plastica, preferendo il vetro o, ancora, le comode borracce in acciaio e in alluminio;
- bere l’acqua del rubinetto, perché gli acquedotti italiani garantiscono la distribuzione di acqua adatta al consumo umano;
- evitare sempre posate, bicchieri e piatti monouso, preferendo invece soluzioni riutilizzabili o completamente biodegradabili, come il bambù;
- acquistare possibilmente prodotti sfusi;
- praticare correttamente la raccolta differenziata.
In definitiva, serve un’azione più rigida per limitare la proliferazione della plastica monouso: in attesa di interventi più ferrei di legge, anche i singoli cittadini possono fare la loro parte.
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