Cosa si intende per alimentazione sostenibile? Questa domanda è tutto fuorché banale: quando si parla di sostenibilità in campo alimentare è infatti fin troppo semplice cadere in tranelli e, purtroppo, anche nella disinformazione. Ad esempio, nell’immaginario comune è ancora ben radicata l’equazione tra sostenibilità alimentare e diete vegetariana e vegana che, per quanto siano certamente più etiche, non sono necessariamente più sostenibili. Oppure, ancora molto diffusa è la convinzione che una dieta a basso impatto sia “un privilegio da ricchi”, una tendenza a cui gran parte della popolazione non può accedere.
Per capire meglio cosa si intenda davvero per alimentazione sostenibile, ho quindi deciso di affidarmi alle ricerche di due delle più autorevoli istituzioni mondiali: l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), che da tempo studia il rapporto tra salute e accessibilità a stili alimentari meno impattanti, e quello dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura (FAO), che vede in una maggiore sostenibilità un valido mezzo per garantire a tutti l’accesso a fonti alimentari sicure.
Alimentazione sostenibile: cosa è?
È innanzitutto necessario comprendere cosa si intenda per alimentazione sostenibile, per sgombrare il campo da ogni dubbio. Per quanto non esista una definizione univoca, la si può definire come un’alimentazione a basso impatto ambientale e accessibile a tutti, basata su una produzione a ridotte emissioni di gas climalteranti, pensata per un consumo perlopiù locale e affinché sia il più possibile priva di scarti. Fra i cardini che definiscono un regime alimentare a peso ridotto sull’ambiente, possiamo citare:
- una gestione oculata del suolo e delle risorse idriche per la produzione di ortaggi, verdure e cereali, sia destinati al consumo umano che a quello animale;
- una coltivazione il meno depauperante possibile per i terreni, dove la fertilità del suolo non viene ridotta bensì arricchita dalle stesse coltivazioni;
- un modello di allevamento lontano dalle logiche delle strutture intensive, tra le principali responsabili della deforestazione e delle emissioni di gas serra;
- un sistema di produzione e distribuzione che prediliga la stagionalità dei prodotti e il consumo locale, per evitare gli elevati costi ambientali del trasporto;
- un modello di consumo basato sull’eliminazione degli sprechi e il recupero degli scarti;
- un sistema economico legato all’alimentazione non solo circolare, ma anche inclusiva, per garantire a tutta la popolazione mondiale l’accesso a una dieta sana ed equilibrata.
Quando si parla di alimentazione più sostenibile, di conseguenza, non si deve fare l’errore di confonderla con singoli stili alimentari. Per questo l’associazione comune con la diete vegetariane e vegane – per quanto etiche e spesso dal minore impatto sull’ambiente – rischia di essere fuorviante. Anche un regime onnivoro può essere più sostenibile, se costruito attorno alla minimizzazione del suo impatto sul Pianeta. In altre parole, la sostenibilità non si limita a ciò che si mangia, ma è un processo che coinvolge tutte le fasi del cibo: dalla produzione al recupero degli sprechi, passando per la distribuzione e la tavola.
Alimentazione sostenibile a 360 gradi: i principi OMS e FAO
Le questioni che coinvolgono l’alimentazione non sono mai semplici da risolvere, soprattutto in un mondo così complesso – soprattutto a livello geopolitico – come quello attuale. Ad esempio, non solo vi è l’esigenza di aumentare i livelli di sostenibilità affinché l’alimentazione riduca il suo impatto ambientale, ma nel far questo si devono trovare modelli che siano al contempo salutari e accessibili per tutta la popolazione. Un quesito davvero complesso, un vero e proprio dilemma, che ha spinto l’OMS e la FAO a unire le forze per trovare una soluzione comune.
Uno sforzo che ha portato, nel corso del 2019, alla definizione dei principi guida per un’alimentazione che sia ugualmente sana e sostenibile. Sottoscritti presso la sede centrale della FAO a Roma, i principi chiave delle “Sustainable Healthy Diets” comprendono:
- l’allattamento al seno almeno fino ai sei mesi di vita, senza sforzare lo svezzamento e accompagnando questo processo con una dieta varia, salutare e locale;
- l’accesso a una dieta sana e variata, con bassissime quantità di cibi processati e bevande zuccherate, in favore di un consumo di specialità di stagione locali;
- la possibilità di accedere a fonti proteiche varie e ad alto valore biologico, non rappresentate unicamente da carne e latticini, ma anche da un consumo moderato di uova, frutta secca e legumi;
- la forte riduzione nel consumo di carne, in particolare quella rossa, senza però eliminare del tutto le fonti animali dalla dieta umana;
- il ricorso all’acqua naturale come principale fonte di idratazione, garantendo a tutti l’accesso a fonti potabili e sicure;
- la garanzia che tutti possano soddisfare il loro fabbisogno energetico in relazione a ogni fase della vita e condizione di salute;
- l’accesso ad alimenti che siano conservati correttamente, non contaminati da patogeni, tossine, batteri e inquinanti;
- la produzione di alimenti a bassa emissione di gas climalteranti, dal ridotto consumo di suolo e di acqua, con coltivazioni in grado di mantenere alti livelli di azoto e fosforo nel terreno e dal minimo ricorso a pesticidi chimici inquinanti;
- l’attenzione alla tutela della biodiversità, affinché campi coltivati, allevamenti, sfruttamento delle risorse forestali siano a basso impatto e basso consumo idrico, mentre caccia e pesca garantiscano i ritmi di ripopolamento naturali;
- la riduzione dell’uso di antibiotici e ormoni per produrre alimenti di origine animale;
- la progressiva eliminazione della plastica e dei suoi derivati nel packaging alimentare;
- il riciclo e il recupero degli scarti per limitare gli sprechi alimentari;
- il rispetto della cucina e delle tradizioni locali, perché indispensabili per ottimizzare come i cibi debbano essere distribuiti e consumati, mantenendone le loro proprietà nutritive;
- l’eliminazione di ostacoli di genere, sociali, economici, politici e geografici nell’allocazione delle fonti alimentari di base.
Come è facile notare, i principi congiunti sottoscritti da OMS e FAO si basano su una sostenibilità a tutto tondo: non solo dal punto di vista prettamente ambientale – come ad esempio la riduzione delle emissioni climalteranti e la tutela della biodiversità – ma anche da quello sociale, economico e politico.
Sostenibilità ambientale del cibo: altri consigli dalla FAO
Ma se volessimo restringere il campo alle questioni più prettamente ambientali, quali elementi dovremmo prendere in considerazione? A rispondere a questa domanda è sempre la FAO che, dal 2012, pubblica il suo report “Sustainable Diets and Biodiversity”:
- aumentare il consumo di cibi vegetali e, contestualmente, ridurre quelli di origine animale, come la carne rossa;
- adottare una dieta il più possibile varia, dove sia possibile consumare almeno 5 porzioni di frutta e verdura al giorno;
- preferire i prodotti locali;
- scegliere cibi freschi e di stagione;
- limitare il consumo di cibi confezionati;
- aumentare il ricorso a legumi e cereali integrali;
- scegliere alimenti animali da fonti sostenibili, in particolare sul fronte ittico, con l’acquisto di specie di stagione e da produttori che garantiscano il ripopolamento naturale;
- preferire vegetali da coltivazione biologica o, in alternativa, tradizionale.
In definitiva, si tratta di consigli semplici e alla portata di tutti: basta anche solo variare la propria dieta due o tre volte la settimana, per avere un impatto positivo enorme sull’ambiente!
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