Punto di vista

Antibiotico resistenza: tra le cause anche l’inquinamento ambientale


I perché e i dati della diffusione del fenomeno

Gli antibiotici sono una di quelle scoperte scientifiche che hanno cambiato notevolmente l’aspettativa e la qualità della vita; fino al 1928, anno in cui il dottor Alexander Fleming ha scoperto la penicillina, le persone morivano di malattie che oggi ci sembrano banali.

Eppure già allora lo stesso Fleming si raccomandò di utilizzare gli antibiotici nel modo corretto: “Arriverà il momento in cui la penicillina potrà essere comprata nei negozi. Ci sarà però il rischio che uomini ignoranti, assumendo dosi di antibiotico sub letali per i microbi che stanno cercando di debellare, rendano i microbi stessi resistenti alla cura (…) Morale: se fate uso di penicillina, usatene la dose appropriata.”

È stato a dir poco lungimirante, perché oggi, meno di un secolo dopo, la resistenza agli antibiotici è diventata uno dei maggiori problemi sanitari: se i batteri non venissero più annientati con questi farmaci, rischieremmo di trovarci sprovvisti delle uniche armi per combatterli, e cancellare 90 anni di progresso scientifico. Le prospettive non sono confortanti. C’è chi dice che il fenomeno è in crescita, tanto che nel 2050 le infezioni batteriche causeranno più vittime di HIV/AIDS. Falsi allarmismi? Certo è che il fenomeno non viene preso alla leggera, dato che l’OMS ha pubblicato il primo report del Global Antimicrobical Surveillance System (GLASS), ovvero una sorveglianza dell’antibiotico resistenza che raccoglie, analizza e confronta i dati dei Paesi che hanno aderito (per ora una quarantina). Poco incoraggianti anche i dati dell’Istituto Superiore di Sanità, secondo cui l’Italia è uno dei Paesi con il più alto tasso di infezioni resistenti agli antibiotici.

Siamo davvero a livello emergenza? Cosa bisognerebbe fare? E cosa si sta facendo? Per capire qualcosa di più ho intervistato il Professor Nicasio Mancini dell’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano, medico specializzato in Microbiologia e Virologia, che da anni si occupa del problema.

ANTIBIOTICO RESISTENZA: COS’È

Foto: ilsalvagente.it

«Avviene quando un batterio è in grado di sopravvivere e riprodursi nonostante la somministrazione dell’antibiotico; in altre parole, questi farmaci diventano inefficaci.
La cosa più preoccupante però è che i germi resistenti che hanno colonizzato un organismo possono essere trasmessi anche ad altre persone o, addirittura, trasmettere la propria resistenza ad altri batteri: gli antibiotici a quel punto non avranno più effetto su nessuno.»

LE CAUSE

«Non ce n’è una sola, questo meccanismo agisce su più livelli. Si parte del comportamento errato del singolo, come l’abuso di antibiotici: troppo spesso si assumono in caso di influenza, raffreddore o mal di gola che non hanno origine batterica.
Le responsabilità però sono anche (forse principalmente) altre, perché il problema dell’uso non è legato solo all’ambito medico: basti pensare agli allevamenti intensivi di animali.»

Foto: CIWF Italia

E qui tocchiamo un’altra nota dolente. Già un po’ di tempo di fa qui su Ecocentrica vi ho parlato del libro Farmageddon di Philip Lymbery, direttore dell’associazione CIWF International, tra i primi a denunciare la condizione degli animali da allevamento; nella sezione dedicata all’antibiotico resistenza, si leggono informazioni sconcertanti: in Italia il 71% degli antibiotici è destinato agli animali, siamo il terzo maggiore utilizzatore in Europa, e il nostro uso è il triplo della Francia e cinque volte quello del Regno Unito. Perché si utilizzano gli antibiotici negli allevamenti? Per mantenere in vita gli animali che, nelle condizioni in cui vivono, si ammalano facilmente. Il meccanismo della resistenza è uguale: si sviluppa negli organismi animali ma i ceppi di super batteri si trasmettono anche all’uomo.

Foto: www.bioecogeo.com

E si affaccia anche un altro grosso problema, ovvero l’inquinamento ambientale. Ho letto da poco un report sulla relazione tra l’inquinamento delle fabbriche di antibiotici in India e il fenomeno della resistenza (non è uscito in Italia ma potete leggerlo in inglese qui), realizzato da un gruppo indipendente di indagini ambientali con il supporto dell’Università di Cambridge. È questo Paese asiatico infatti il più grande produttore mondiale di antibiotici, peccato che spesso le industrie non seguano le corrette pratiche di smaltimento, rilasciando grandi quantità di medicinali in fiumi e laghi; sono stati analizzati 34 siti adiacenti agli stabilimenti di produzione, e in 16 di questi è stata rilevata la presenza di super batteri. E si vedono gli effetti sulla popolazione locale: secondo i dati pubblicati dalla rivista scientifica The Lancet, nel 2015 oltre 58.000 bambini in India sono stati colpiti da batteri resistenti agli antibiotici.

I NUMERI DI UN PROBLEMA SANITARIO

Foto: Ansa-Centimetri (Fonte OMS)

Il problema però è globale, perché in Europa (e in Italia) non ce la passiamo molto meglio. Uno di quelli di cui sentiamo parlare più spesso è l’Escherichia coli, batterio normalmente presente nell’intestino; molti ceppi sono innocui, altri invece possono provocare infezioni urinarie e setticemie potenzialmente letali.
Il Prof. Mancini mi ha suggerito di consultare i dati del Centro europeo di controllo e prevenzione delle malattie (ECDC): se nella prima colonna a sinistra selezionate Antimicrobial resistance, potete vedere voi stessi la percentuale di resistenza di ciascun batterio. Quella dell’Escherichia coli è allarmante: in Italia è quasi del 67%! È piuttosto diffusa anche la specie batterica Klebsiella pneumoniae, responsabile di polmoniti batteriche, che da noi è resistente nel 34% dei casi (la percentuale più alta d’Europa insieme a Grecia e Romania). E guarda caso, l’Italia è uno dei Paesi che impiega più antibiotici: secondo il Rapporto OsMed dell’Agenzia Italiana del Farmaco, l’assunzione inappropriata di antibiotici supera il 30%, in particolare, nel 2015 li hanno utilizzati il 37,1% dei soggetti con diagnosi di infezioni virali delle vie respiratorie. Ricordiamo che gli antibiotici non servono a combattere i virus…

COME COMBATTERE L’ANTIBIOTICO RESISTENZA

Foto: www.ars.toscana.it

«Bisognerebbe seguire l’esempio del piano dell’amministrazione Obama: tra gli obiettivi perseguiti ci sono quello di rallentare il fenomeno, attraverso l’informazione per un uso più consapevole degli antibiotici; sviluppare test diagnostici che possano rivelare velocemente se un’infezione è virale o batterica, in modo da evitare prescrizioni non necessarie; incentivare la ricerca per scoprire nuovi farmaci che possano sostituire quelli non più efficaci.
Anche in Italia sono state create, da parte delle società scientifiche, delle linee guida per sensibilizzare i medici all’uso corretto degli antibiotici; resta comunque la necessità di mettere a punto nuove molecole perché altrimenti rischiamo di non riuscire a curare i pazienti, e per molti di essi è già così.»

I ricercatori dell’Università di Cambridge auspicano la creazione di una lista nera dei produttori di antibiotici che non rispettano le norme di smaltimento e provocano inquinamento ambientale; CIWF insieme a molte altre associazioni chiedono al Ministero della Salute una riduzione del 70% degli antibiotici negli allevamenti entro il 2020, numeri che comunque significherebbero un consumo doppio rispetto ad altri Paesi, ma è sempre un passo in più del solo 30% proposto dal ministro Lorenzin che non ci toglierebbe la “maglia nera” per lo sviluppo delle resistenze.

 

Il rischio, se non invertiamo la rotta di marcia, è di tornare all’era pre-antibiotica, quella che la nostra generazione per sua fortuna non conosce, ma che sono sicura non vorrebbe conoscere.

 

 

Foto copertina: www.ilfattoalimentare.it

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