A volte ci dimentichiamo che i cambiamenti climatici non sono un problema con cui dovremo imparare a convivere in futuro, ma una questione già presente e riconoscibile. E tra un aumento costante delle temperature, ed eventi atmosferici sempre più catastrofici, gli animali sono i primi a farne le spese. Proprio così: gli effetti del surriscaldamento globale e degli altri fenomeni climatici avversi stanno già avendo conseguenze negative su diverse specie animali e, purtroppo, spesso a esserne maggiormente coinvolte sono quelle in via d’estinzione. Che fare?
Per renderci conto quanto i cambiamenti climatici stiano pesando sul presente del Pianeta, ho voluto raccogliere alcuni degli studi più significativi sui loro effetti sulla vita animale. E i risultati sono a dir poco preoccupanti.
Cambiamenti climatici e ghepardi: problemi di riproduzione
È il più veloce mammifero terrestre – può raggiungere i 120 km/h – eppure nemmeno lui riesce a sfuggire all’arrivo dei cambiamenti climatici. Sto parlando del ghepardo, uno dei più maestosi ed eleganti grandi felini, già considerato vulnerabile al rischio d’estinzione.
Già da una decina di anni a questa parte, i ricercatori del National Museum of Kenya e del Kenya Wildlife Service hanno notato una relazione negativa tra aumento delle temperature e capacità di riproduzione dei ghepardi. Sebbene gran parte degli studi siano tutt’oggi in corso, emerge che l’esposizione a un maggior caldo rispetto al normale – anche di un paio di gradi – riducano la fertilità di questi animali, in due modi diversi:
- si riduce la qualità del seme dei maschi, con spermatozoi dalla ridotta capacità di fecondare;
- all’aumentare del caldo, si riducono i livelli di testosterone nel sangue sempre dei maschi, con un minor coinvolgimento nelle attività di riproduzione.
Considerando come i ghepardi siano dei felini particolarmente delicati, e spesso vittime dell’azione distruttiva dell’uomo, la loro minacciata fertilità non farà altro che accelerarne il processo di estinzione.
Troppo caldo: le foche perdono il pelo
Il fitto manto che ricopre le foche ha un’importanza fondamentale per questi animali marini: funge come un vero e proprio isolante termico, per proteggerle dal sole quando si trovano sul bagnasciuga e resistere alle basse temperature quando invece nuotano in acqua. Eppure, con l’aumento delle temperature a livello globale, sempre più esemplari stanno perdendo il pelo.
Lo dimostra un’osservazione avvenuta lo scorso maggio in Messico, da parte dei ricercatori dell’Università di Queretaro: sulle coste messicane sono state rinvenute numerose foche colpite da alopecia, con vaste chiazze di pelle nuda esposta agli agenti atmosferici. Secondo gli esperti, vi sarebbe un concorso tra un’alimentazione poco equilibrata – forse per carenza di alcune varietà di pesci di cui si nutrono – e l’aumento delle temperature nei loro luoghi di vita. L’eccessivo caldo impedisce all’organismo delle foche di attuare una corretta termoregolazione e, così, il pelo si indebolisce fino a cadere. Tuttavia, una pelle glabra mette a rischio questi animali quando nuotano nelle fredde acque oceaniche e, fatto non meno importante, li espone a scottature e abrasioni quando si riposano su rocce e spiagge. Ancora, l’alopecia le espone maggiormente all’attacco dei predatori.
Cambiamenti climatici: i granchi perdono l’olfatto
I granchi non hanno una vista molto sviluppata e, per questa ragione, sfruttano maggiormente l’olfatto per i loro spostamenti. Possono infatti percepire l’odore di un predatore in avvicinamento o, ancora, sfruttano questa loro capacità nella stagione degli amori, per attrarre i partner. C’è però un fenomeno dovuto ai cambiamenti climatici che sta danneggiando questa loro caratteristica: l’acidificazione degli oceani.
Lo rivela un recente studio pubblicato sulla rivista scientifica Global Change Biology: quando questi animali si trovano in acque dai livelli di anidride carbonica anche solo leggermente più alti del normale, perdono gran parte dei loro recettori dell’olfatto. I ricercatori dell’Università di Toronto Scarborough hanno stimato una riduzione di dieci volte per le loro capacità olfattive, tanto da renderli più esposti al rischio di essere uccisi dai predatori e da ridurre le loro capacità riproduttive. E così le popolazioni rischiano di scomparire anche in modo veloce, con danni sia per gli ecosistemi marini che per la catena alimentare umana.
Gli orsi polari diventano cannibali
Non è di certo un segreto: la condizione in cui si trovano a vivere gli orsi polari è sempre più drammatica. Le temperature in aumento stanno portando allo scioglimento dei ghiacci perenni che costituiscono l’habitat primario di questi plantigradi e, con i mari sempre più caldi, scarseggiano anche le prede. Siamo purtroppo ormai abituati alle immagini di orsi emaciati che provengono dal Circolo Polare Artico, magari debilitati dopo un inverno in letargo e alla ricerca di cibo che probabilmente non troveranno.
Ed è forse per questa ragione che si registrano sempre più casi di orsi polari cannibali, soprattutto a danni di esemplari più deboli oppure di cuccioli. Gli episodi più frequenti sono stati rilevati al largo delle coste artiche della Russia, dove le prede sono sempre più scarse, anche a causa delle attività umane sempre più opprimenti e la pesca deregolamentata. A oggi, si registrano dozzine di casi di madri pronte a sacrificare i loro piccoli, pur di rimanere in vita. Un destino davvero crudele, dettato dall’istinto di sopravvivenza, che ci dovrebbe far riflettere sui danni che stiamo causando al nostro intero Pianeta.
Alte temperature? Più tartarughe marine femmine
Forse non tutti lo sanno, ma il sesso delle tartarughe marine è largamente determinato da fattori ambientali connessi all’incubazione, in particolare la temperatura. Così come spiegano le ricerche condotte dalla Duke University, quando le uova sono sommerse da sabbia attorno ai 26 gradi si ottiene un buon numero di esemplari maschi dalla schiusa, quando queste superano i 30 gradi dalle uova nascono quasi esclusivamente femmine.
Poiché l’aumento delle temperature globali sta coinvolgendo anche i litorali marini, si inizia già a registrare una forte sproporzione tra esemplari maschi e femmine, con tutti i rischi che ciò comporta in termini di riproduzione e sussistenza delle specie. In altre parole, nascendo meno maschi, le chances di accoppiamento diminuiscono per ogni femmina e ciò porta a una deposizione minore di uova. Se si considera che una parte considerevole delle piccole tartarughe muore poco dopo la schiusa, poiché catturate da predatori su terra o in acqua, ridurre le probabilità riproduttive potrebbe essere l’ultimo passo prima dell’estinzione.
Meno bambù per i panda a causa dei cambiamenti climatici
Per la sopravvivenza dei panda, il bambù è fondamentale. Questo vegetale rappresenta oltre il 90% della loro dieta – un esemplare adulto ne può mangiare dai 9 ai 18 chilogrammi al giorno – e per questo deve essere sempre disponibile in abbondanza.
L’aumento delle temperature in alcune zone dell’Asia, così come sottolinea il WWF, sta però portando a tassi più lenti di ricambio delle foreste di bambù, una pianta che solitamente cresce in modo molto veloce. Ciò spinge i panda a spostarsi dalle zone in cui sono sostanzialmente stanziali per trovare questo prezioso alimento, con il rischio di imbattersi in rischi e in un singolare predatore: l’uomo. Nelle zone più rurali dell’Asia, infatti, i panda rischiano di essere vittime di incidenti o di essere uccisi proprio dall’azione degli abitanti del posto.
Questie sono solo alcuni dei casi animali più critici dovuti ai cambiamenti climatici, ma praticamente ogni specie vivente ne patisce le conseguenze. È quindi arrivato il momento di rimboccarsi le maniche e tentare di frenare questi processi, se non vogliamo perdere la biodiversità del nostro Pianeta!
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