A tavola

C’è ancora il foie gras?


Tessa Gelisio

Da un po’ di tempo mi sono sorpresa di trovare spesso nei menù di ristoranti, anche stellati, piatti a base di foie gras o paté di fegato d’oca. 

Il foie gras rientra tra quei cibi considerati di lusso, come caviale e ostriche, e in Italia può costare anche intorno ai 100 euro al kg. La sua produzione nel nostro Paese è illegale dal 2007, ma non la sua commercializzazione. Eppure, in Italia dal 2015 c’è stato un vero e proprio boicottaggio della sua vendita da parte di circa 12.800 supermercati e ormai tutti dovrebbero sapere come viene ottenuto e perché è totalmente immorale consumarlo.

Il ritorno del fegato d’oca in Italia, sembra essere in controtendenza anche rispetto alla sua patria, la Francia, da cui noi lo importiamo. L’iniziativa di alcune figure istituzionali locali nel bandire questa pietanza tradizionale (che con questa scusa ha permesso una deroga nel produrla) ha infatti suscitato subito il mio interesse.

Grégory Doucet, sindaco di Lione del partito verde Eelv, ha vietato il foie gras da eventi ufficiali, cerimonie e buffet, poiché la sua produzione “va completamente contro il benessere degli animali” cit. Una decisione diventata attuativa proprio prima dello scorso Natale, ma già programmata dal 2020. Questa ordinanza è stata poi condivisa e applicata anche dal sindaco di Strasburgo, città che ha ben 21 ristoranti stellati, così come oltre oceano dal primo cittadino di New York.

Una bella conquista. Allora perché il foie gras, ottenuto da una delle tecniche di allevamento più aberranti che esista, sembra essere aumentato sulle nostre tavole?

L’Unione Europea non ha aiutato, con la nuova relazione sul benessere degli animali, presentata lo scorso febbraio dalla commissione per l’agricoltura e lo sviluppo rurale (Commissione Agri) del Parlamento Europeo, che dichiara:

“Si denota che la produzione di foie gras si basa su procedure di allevamento che rispettano i criteri di benessere animale, trattandosi di una forma di produzione estensiva che si svolge prevalentemente in allevamenti a conduzione familiare, dove gli uccelli trascorrono il 90 % della loro vita all’aria aperta e dove la fase di ingrasso dura mediamente dai 10 ai 12 giorni con due pasti al giorno, rispettando i parametri biologici dell’animale” .

Azione di gavage su oca
Foto di Animalequalityitalia

Stiamo scherzando? Non mi sembra ammissibile considerare la produzione di foie gras in linea con il benessere animale. Io ne conosco uno solo, prodotto da la Eduardo Sousa Farm, di cui ve ne ho parlato in passato, che si possa definire tale e infatti ha ricevuto la prima licenza di foie gras etico al mondo. Una strategia di allevamento e “ingrasso” che sfrutta il normale istinto selvatico antecedente al periodo migratorio. Con una produzione solo stagionale (nel periodo invernale quando gli anatidi si cibano di più per mettere da parte le riserve in vista di una migrazione), questa azienda spagnola alleva oche e anatre selvatiche in libertà; nelle vaste terre dei pascoli dell’Estremadura, dove godono di un ecosistema semiselvatico che copre la maggior parte della Spagna sudoccidentale, oche e anatre mangiano prodotti naturali come olive, fichi e ghiande di produzione della stessa azienda e soprattutto senza essere sottoposte ad alimentazione forzata.

Come denunciato in questa recente inchiesta realizzata dall’organizzazione francese per la protezione degli animali L214 su marchi considerati IGP,  gli allevamenti “tradizionali” da dove arriva il foie gras sono in gran parte intensivi, perciò gli animali non crescono in libertà, ma anzi in questi casi vengono stipati in gabbie fino a spezzarsi le ossa per la mancanza di spazio. La violenta pratica dell’alimentazione forzata qui è la consuetudine e le scarse condizioni igieniche sembrerebbero facilitare anche l’insorgenza di influenza aviaria.

Anatre stipate in una gabbia
Foto di Animalequalityitalia

Come vi ho raccontato tempo fa, infatti, ​​il fegato d’oca prevede uno dei trattamenti più crudeli che vengono inflitti agli animali da allevamento. 

Come per le galline ovaiole in batteria, anatre e oche vengono rinchiuse in gabbie strette in cui è impossibile muoversi e sottoposte ad alimentazione forzata chiamata gavage. Questa pratica consiste nell’inserimento di un tubo metallico fino allo stomaco dove viene pompato il cibo, solitamente un pastone misto a mais tritato, mais intero e acqua. Un’operazione che richiede da 45 a 60 secondi se fatta manualmente oppure una manciata di questi se effettuata attraverso una pompa idraulica o pneumatica. 

Potete immaginare quali danni tra shock, convulsioni, lesioni possa causare questa procedura. Il tasso di decesso di anatre e oche da foie gras è 20 volte superiore a quello delle altre allevate per altri scopi. Gli animali muoiono soffocati oppure per perforazioni al collo causate dall’alimentatore meccanico e ovviamente anche da blocchi epatici, in più per facilitare il gavage viene amputato loro il becco. 

L’obiettivo finale è di arrivare ad un’ipertrofia del fegato del povero animale, il cosiddetto fegato grasso, grande anche 10 volte quello normale che, finché questo è in vita, ne compromette le sue funzioni fisiologiche. Con un fegato così malato e gonfio, questi poveri animali non sono più in grado neanche di sollevarsi sulle zampe o addirittura respirare e spesso arrivano alla macellazione che sono comunque vicini al decesso.

Come si può pensare di mangiare un prodotto che è l’esito di una malattia?

Fegato d'oca su bilancia
Foto di Animalequalityitalia

Una vera e propria tortura contraria a ogni logica di benessere e tutela che trovo davvero ridicolo possa essere soggetta ad altre interpretazioni. Non credo che la scelta della commissione, passata in sordina mediatica, abbia condizionato le persone a consumarlo, mi chiedo però come sia possibile accettare che ci sia in circolazione un prodotto simile.

Come possono ancora proporlo nei ristoranti? Solo perché sembra un cibo figo? Ma davvero non gliene frega niente a nessuno di cosa avviene a questi poveri animali oppure non lo sanno?

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