Chi di voi ha mai sentito parlare degli asili nel bosco? Didattica all’aperto, approccio esperienziale, contatto diretto con la natura, ma anche capacità di comprendere e condividere le proprie emozioni. Per chi come me è cresciuto o cresciuta in aperta campagna, sa quanto sia prezioso imparare e giocare in un contesto naturale, dove poter sperimentare e scoprire sé stessi. Ecco quindi la storia degli asili nel bosco per sfatare qualche mito e raccontarvi la filosofia che c’è dietro.
Asili di bosco, di mare o di montagna
Anzitutto facciamo un po’ di chiarezza: per asili nel bosco (ma anche di mare, di montagna o di fiume) si intendono quei progetti educativi, che coinvolgono la fascia dai 2 a i 6 anni, da realizzare prevalentemente all’aperto e in qualsiasi stagione, gestiti da associazioni (anche all’interno d’istituti statali) o da scuole parentali (gruppi di genitori che si riuniscono per istruire i propri figli tra le mura domestiche). Non esiste tuttora un unico sistema pedagogico o delle linee guida ufficiali. In questi ultimi anni è nata una rete associativa, la Rete Nazionale di Scuole all’aperto che cerca di convogliare le diverse correnti, ma le sfumature sono davvero tante. Dai più puristi che vorrebbero un ettaro a bambino a chi privilegia le attività manuali.
I modelli sono tanto sfaccettati quanto lo è la biodiversità in natura.
Quello che accomuna tutti però sono i due approcci: integrato o integrale.
- L’approccio integrato prevede uno spazio di apprendimento sia al chiuso sia all’aperto (dove svolgere attività specifiche).
- Quello integrale concentra tutta la formazione sull’outdoor education.
Alla base di questi c’è una filosofia comune: il ciclo di apprendimento di Kolb.
Questo macro modello pedagogico ha le sue regole che possono essere applicate in ogni laboratorio formativo (ad esempio la cura dell’orto, le lezioni nel bosco, l’utilizzo degli elementi naturali nella didattica):
- Esperienza Concreta: elaborare informazioni frutto dell’esperienza vissuta, enfatizzando gli aspetti emozionali e l’intuizione del bambino.
- Osservazione Riflessiva: imparare ad ascoltare e osservare, per poi riflettere e interpretare le proprie sensazioni, focalizzandosi sulla comprensione e l’analisi del vissuto.
- Concettualizzazione Astratta: schematizzare concetti e abilità per costruire dei propri modelli.
- Sperimentazione Attiva: verificare le conoscenze e competenze acquisite applicandole in situazioni e contesti nuovi.
Anche in queste scuole, a prescindere da quello che molto spesso si crede, c’è un metodo, seppur sperimentale, che sta dando i suoi frutti. D’altronde come molti studi dimostrano apprendere in contesti naturali aumenta la disciplina, allevia lo stress e migliora lo spirito adattivo.
C’era una volta la scuola nel bosco
Le scuole nel bosco nascono da un lungo percorso.
Fu il prof. Scacciavillani che nel 1919 fondò il primo movimento di scuole all’aperto. Certo, eravamo ancora in una fase di rigore e formalità nell’educazione, ordine e disciplina, un retaggio che ci abbiamo messo del tempo ad abbandonare, e che a vederlo oggi ci fa un po’ ridere.
Ma da lì, il concetto di scuole “mobili” in natura iniziò a istituzionalizzarsi, tanto che esordirono i primi congressi internazionalia riguardo, ospitati proprio in Italia.
In principio, le scuole all’aperto nascevano da necessità sanitarie, quando in un modo un po’ semplicistico, le indicazioni terapeutiche per i bambini con salute cagionevole erano proprio quelle di stare all’aria aperta, approccio adottato nelle colonie estive.
Nel nostro Paese circa un secolo fa, a Milano, su questi presupposti nacque il sanatorio la Casa del Sole, chiamata “scuola giardino”, prima struttura che offriva attività integrate all’educazione, come orticoltura, la fattoria didattica e tante altre sempre all’aperto. Una struttura che con la caduta del fascismo poi si orientò sulla liberazione della potenzialità espressiva degli alunni, attraverso attività manuali e artistiche e sulla sensibilizzazione ai temi della socialità e della democrazia.
Per parlare, però, di una vera scuola (o meglio asilo) nel bosco in Europa dobbiamo aspettare il 1950, quando una giovane mamma, Ella Flatau realizzò la prima struttura in Danimarca. Gli asili nel bosco poi si diffusero in tutto il nord Europa, soprattutto in Germania, paese in cui spopolano i cosiddetti Waldkindergarten (dove anche il pisolino si fa all’aperto) e diventarono una matrice per quello che poi accadde in Italia.
Il primo vero asilo nel bosco italiano è stato fondato nel 2014 da un gruppo di educatori e maestri di strada tra le campagne di Ostia Antica tra cui Danilo Casertano.
Guardi il dito o guardi la luna?
Questo maestro di strada oggi direttore di tre nuovi progetti a Roma, l’Asilo del Mare” (infanzia), la Scuola del Mare e del Bosco (primaria) e i Maestri di Strada – Street School (secondaria), mi ha spiegato quanto sia importante abbracciare un nuovo modello educativo come questo.
“Ti faccio un esempio citando un noto pedagogista. Sai cosa vede un bambino quando gli mostri una foto di un panorama? Molto spesso ti dice ‘niente’, mentre se nello stesso contesto gli mostri un ambiente con una persona che cammina, lui la identifica subito. Ormai siamo abituati a riconoscere e riconoscersi solo in ambienti antropizzati. E questo si deve cambiare dalla prima infanzia”.
Per fare tutto ci vuole un fiore
Riflettendo su queste considerazioni e su come il modo stia rapidamente cambiando, ritengo che l’educazione ambientale debba essere parte integrante della formazione dei più piccoli, così come l’approccio esperienziale. Comprendere la biodiversità in natura ci permette di accettare l’alterità, riconoscere le proprie emozioni significa crescere con meno paure e accogliere quelle degli altri. Anche la libera espressione fa parte di quel processo che serve a diventare grandi, così come adattarsi a contesti extraurbani e apprezzare il valore di questi nella propria quotidianità. E di tutti i muri e i confini eretti dagli adulti, forse quelli di una scuola davvero non sono necessari (se non per esigenze logistiche). A questi piccoli esploratori del futuro dobbiamo molto, considerando come stiamo riducendo questo pianeta, e confidiamo che possano essere loro a insegnare alle vecchie generazioni che “per fare tutto” (come dice la canzone) alla fine, davvero potrebbe bastare solo un fiore.
1 Comment
GIULIA
19 Maggio 2022 at 10:52Pur non avendo figli ho sempre pensato che gli asili o fattorie didattiche isano ottime, così i bambini possono imparare un sacco di cose utili fin dall’inizio