Da diversi anni mango, papaya, avocado e tantissima altra frutta esotica abbonda sulle nostre tavole, un tempo c’erano solo banane ed ananas, eppure raramente ci si sofferma sull’impatto ambientale di questi alimenti. Questi cibi non solo vengono quasi esclusivamente coltivati in luoghi molto lontani, con tutto quel che ne consegue in costi ambientali per il loro trasporto, ma anche con tecniche dannose per il Pianeta. Ma cosa sapere, per una scelta alimentare più sostenibile?
Deforestazione, depauperamento del terreno, emissione di grandi quantità di CO2: questi sono solo alcuni dei problemi che la passione per la frutta esotica sta causando all’ambiente. Se si considera che la produzione e il trasporto del cibo contribuisce quasi al 30% delle emissioni climalteranti di natura umana, è giunto il momento di ripensare ai nostri consumi.
Mango: dall’acqua ai viaggi intercontinentali
Non si può dire che il mango non sia entrato stabilmente fra le preferenze dei consumatori italiani, sia consumato fresco che in succo. Eppure, nonostante il dolce sapore, non si tratta di uno degli alimenti più sostenibili per l’Ambiente.
La maggior parte della produzione di mango, fatta eccezione per alcune coltivazioni in Sicilia, avviene infatti in tre Paesi molto lontani dall’Italia: l’India, la Thailandia e il Messico. Per giungere sui nostri mercati, perciò, i frutti coltivati altrove devono compiere dei veri e propri viaggi intercontinentali.
Secondo diverse stime, sul fronte dei trasporti, il mango è uno dei frutti a maggiore impatto. Non solo la produzione locale è causa dell’emissione di 1,6 kg di CO2 equivalente per ogni chilo di alimento prodotto, ma si emettono gas climalteranti anche per il trasporto.
- dai 3 ai 4 kg di CO2 equivalente per i trasporti via terra;
- dai 5 ai 7 kg di CO2 equivalente per i trasporti aerei.
Non è però tutto, poiché il mango è anche un frutto dall’impronta idrica elevata: per ottenere un chilogrammo di mango maturo servono, secondo le analisi di Water Footprint Network, ben 1.600 litri d’acqua. Inoltre, l’elevata domanda di mango a livello mondiale è causa di deforestazione nei Paesi d’origine, dove la vegetazione naturale viene eliminata per far spazio alle monocolture.
Papaya: meno impatto in produzione, ma alto in trasporto
Anche la papaya è un frutto che si trova ormai con relativa facilità sui banchi della grande distribuzione italiana, con tutto quello che ne consegue in termini di impatto ambientale. Coltivato principalmente in Brasile, Messico, India e nel Sudest asiatico, è causa di elevate emissioni soprattutto sul trasporto.
La produzione è certamente più sostenibile rispetto ad altra frutta esotica, poiché la pianta della papaya richiede quantità d’acqua più ridotte, circa 200 litri al chilo – ma vi è un problema non da poco: questo frutto deperisce rapidamente e, di conseguenza, la maggior parte del trasporto internazionale avviene per via aerea. Infatti:
- in produzione, si emettono circa 1,1 kg di CO2 equivalente al chilo coltivato;
- il trasporto, a seconda delle zone, può emettere dai 5 ai 9 kg di CO2 equivalente.
Avocado, grandi sprechi d’acqua per un frutto di moda
Non si può dire che, almeno negli ultimi anni, l’avocado non sia diventato un frutto particolarmente di moda. Ricco di proprietà nutritive utili all’organismo, è oggi uno degli ingredienti con cui si sperimenta di più in cucina, sia per ricette dolci che salate. Peccato che non si tratti di un alimento particolarmente amico dell’ambiente.
Le coltivazioni principali sono in Messico, Perù e Cile – ma anche in Sicilia, dove da qualche anno si coltivano degli avocado biologici, pensati per il mercato nazionale – e crescono di anno in anno per stare al passo della richiesta mondiale, causando deforestazione. Non è però tutto, poiché l’avocado richiede enormi quantità di acqua, anche 2.000 litri per ogni chilogrammo prodotto. A questo si aggiungono, per le coltivazioni attive dal 2020 al 2022, ben 450.000 litri di insetticidi, 900.000 tonnellate di fungicidi e 30.000 tonnellate di fertilizzanti chimici a livello globale.
Più difficile stimare le emissioni di CO2 per il trasporto: indicativamente, per avocado provenienti dall’estero, ogni chilo di frutto comporta l’emissione di circa 4 kg di CO2 equivalente via mare e fino a 13 in aereo.
Banana, il frutto che non ricordiamo sia esotico
La banana è un alimento ormai da decenni così stabile nella dieta italiana, tanto che è facile dimenticarsi sia esotico. E, così come già accennato qui su Ecocentrica, anche uno dei più inquinanti al mondo.
La produzione mondiale è perlopiù localizzata in America Latina, dove la coltivazione del banano non solo sta determinando una forte deforestazione, ma anche la contaminazione di vaste aree del suolo con pesticidi chimici. Ancora, spesso si tratta di una produzione poco etica, con lavoratori al limite della schiavitù, data l’enorme richiesta mondiale. Come per tutta la frutta esotica, peraltro, perché la maggior parte arriva da Paesi con legislazioni molto lasche, sia in termini di protezione dei diritti dei lavoratori, ch di tutela ambientale.
La richiesta d’acqua è ben sostenuta – ben 730 metri cubi ogni tonnellata di frutti, secondo la FAO – mentre le emissioni di CO2 per chilogrammo prodotto non preoccupanti, pari a circa 0,11 chilogrammi. Questo se non si considera il trasporto, che può aggiungere altri 3-5 chilogrammi di CO2 equivalente via nave e fino a 9 via aria.
Ananas, il frutto che sta devastando il Costa Rica
Anche dell’ananas ci dimentichiamo spesso l’origine esotica, poiché ormai stabilmente nella nostra dieta. Eppure, ogni volta che gustiamo una fetta di questo buonissimo e salutare frutto, dovremmo pensare ai danni che sta causando in Costa Rica.
Il Paese è il primo produttore mondiale di ananas al mondo, poiché presenta le condizioni climatiche ideali per la coltivazione di varietà pregiate e molto richieste. Questo ha portato negli anni a una sovrapproduzione che, oltre a essere causa di grande deforestazione, sta comportando gravi conseguenze in termini di erosione del suolo e di inquinamento delle acque. Ad esempio, nel 2019 si è scoperto via satellite che più di 3.821 ettari di campi di ananas sono stati illegalmente piantati in aree protette, mentre più di 16.385 ettari di foresta umida sono stati illegalmente rasi al suolo per far spazio alle coltivazioni, tra il 2.000 e il 2015.
La richiesta d’acqua è inoltre di circa 255 metri cubi per tonnellata, mentre non è ben noto il costo ambientale per il trasporto, anche se si ritiene possa essere simile a quello dell’avocado.
In definitiva, valutiamo attentamente prima di mettere della frutta esotica nei nostri carrelli: il palato sarà certamente appagato, ma a quale prezzo per l’ambiente? Meglio preferire frutta di stagione europea o, se proprio non si può resistere, frutta esotica di produzione italiana, biologica oppure equosolidale, con una produzione che rispetto ambiente e lavoratori. Ovviamente, per quanto il profilo etico e ambientale sia più elevato, i costi di trasporto non possono essere eliminati.
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