“Cosa vuoi che sia, se per una volta abbandono un sacchetto nel verde?”. È probabilmente questa l’assurda giustificazione che molti si danno, quando decidono di lasciare buste di plastica dove meglio capita, incuranti dell’ambiente. E con la primavera ormai iniziata, questo problema è ancora più evidente: tra scampagnate nella natura, picnic all’aperto e giornate nei boschi, la maleducazione di chi abbandona i rifiuti cresce esponenzialmente.
Eppure, non ci sofferma sui danni che un “semplice” sacchetto di plastica può causare al Pianeta: quanto impatta davvero un simile rifiuto? Analizziamo, ancora, l’impatto degli involucri classici e dei sacchetti biodegradabili e compostabili.
L’impatto dei sacchetti di plastica classici
Senza troppe sorprese, i sacchetti di plastica classici rappresentano il materiale dal maggiore impatto sull’ambiente. E sebbene le buste della spesa siano ormai quasi esclusivamente in bioplastiche, la plastica classica permane negli involucri alimentari, nelle buste utilizzate come packaging per confezioni, nei sacchetti frigo e molto altro ancora.
Un sacchetto di plastica non si degrada mai
È utile partire dal problema più evidente: un sacchetto di plastica abbandonato nell’ambiente non si degrada pressoché mai. Sebbene sia vero che questo materiale impiega secoli per potersi decomporre, la sua scomparsa non è mai completa: si trasforma in frammenti minuscoli, le cosiddette microplastiche, che sono virtualmente eterne.
Secondo uno studio apparso sulla rivista Science, una classica busta di plastica per alimenti può richiedere dai 20 ai 500 anni per iniziare il processo di degradazione, a seconda delle condizioni ambientali a cui è esposta: sole, acqua, umidità, temperatura. Il sacchetto non si dissolve però completamente, perché:
- la maggior parte della sua struttura si scompone in microplastiche di dimensioni inferiori ai 5 millimetri;
- alcune delle sostanze chimiche presenti nel sacchetto, come ad esempio i PFAS, sono degli inquinanti perenni.
Stando allo stesso studio, la plastica morbida utilizzata per il packaging – buste, pellicole, confezioni malleabili – rappresenta il principale rifiuto presente nei corsi d’acqua e negli oceani. Ogni anno, finiscono più di 8 milioni di tonnellate di questi pericolosi materiali nell’ambiente.
Le buste contaminano il terreno
Un altro effetto diretto dell’abbandono di sacchetti nell’ambiente è la contaminazione del terreno, tanto da alterarne la composizione chimica e, quindi, la capacità di garantire sostanze nutritive a piante e altri vegetali.
Una ricerca pubblicata nel 2021 sulla rivista scientifica Soil Biology and Biochemistry ha evidenziato la presenza di residui chimici tossici nei terreni più colpiti dall’abbandono di materiali in plastica. In particolare, sono state rinvenute grandi quantità di:
- ftalati;
- PFAS;
- BPA;
- interferenti endocrini di vario tipo.
Queste sostanze – appunto degli inquinanti eterni, poiché rimangono nell’ambiente pressoché all’infinito – stanno alternando la capacità del terreno di sostenere la naturale crescita della vegetazione, poiché agiscono come antagonisti dei principali elementi nutritivi, come l’azoto. Inoltre, passando proprio dalle piante possono entrare nella catena alimentare umana, determinando gravi problemi ormonali e, soprattutto, colpendo negativamente la fertilità.
Danni al mare, alla vegetazione e alla fauna
Come se non bastasse, le buste di plastica gettate nell’ambiente hanno effetti altamente negativi per la sussistenza e la biodiversità marina. Secondo il rapporto “Plastics in the Marine Environment”, pubblicato nel 2022, le microplastiche derivanti da packaging morbido o flessibile:
- rappresentano oltre il 70% dell’inquinamento degli oceani;
- sono tra le principali cause dell’alterazione degli ecosistemi marini.
Plastiche e microplastiche in mare modificano il normale sviluppo delle specie vegetali, riducendo la loro capacità di ossigenare le acque e, soprattutto, di assorbire gli eccessi di CO2 in atmosfera. Ancora, questi frammenti vengono regolamente ingeriti da pesci e altri animali marini, modificando le loro capacità di riproduzione – sempre perché contengono sostanze chimiche che interferiscono con il normale funzionamento del sistema endocrino – ed entrando, come già visto, in modo pericoloso nella catena alimentare umana.
Non è però tutto, recenti ricerche hanno dimostrato che il 100% degli animali marini – dai pesci agli uccelli – presenta porzioni di plastica nei loro stomaci, mentre oltre il 40% di quelli terrestri ne ha ingerito diverse quantità.
La plastica nei sacchetti contribuisce al cambiamento climatico
Come se non bastasse, le buste di plastica abbandonate in zone verdi del Pianeta contribuiscono in modo sensibile all’inacerbirsi del cambiamento climatico. Questo non solo perché la produzione di sacchetti emette grandi quantità di gas climalteranti, ma alcune tipologia di plastica producono anidride carbonica durante la loro decomposizione.
Diversi studi hanno infatti dimostrato che il polietilene, una delle plastiche più impiegate per la produzione di involucri in plastica, rilascia sia metano che CO2 durante la sua degradazione. Indicativamente, per ogni chilogrammo di sacchetti abbandonati, possono essere emessi ben sei chilogrammi di CO2 equivalente, quindi considerando in modo congiunto la porzione di gas climalteranti dovuta alla somma tra anidride carbonica e metano.
In più, la plastica abbandonata nel verte altera i cigli di fotosintesi clorofilliana delle piante, riducendo la quantità della vegetazione di assorbire CO2 e altre sostanze nocive.
Bioplastica e plastica compostabile: sono sicure nell’ambiente?
Non vi sono dubbi: gli involucri e le buste di plastica rappresentano uno dei rifiuti più dannosi per il Pianeta. Eppure, da qualche anno a questa parte, una buona parte dei sacchetti classici è stata sostituita con soluzioni più sostenibili, come la bioplastica o la plastica compostabile. Questo vuol dire che si possono abbandonare nell’ambiente?
No, purtroppo anche questi materiali – per quanto meno inquinanti della plastica classica – non possono essere gettati dove capita. Partendo dalla bioplastica – ovvero buste derivate da mais, canna da zucchero e altri biopolimeri – uno studio pubblicato nel 2021 ha evidenziato che:
- la degradazione al di fuori di ambienti controllati non è semplice, un singolo sacchetto può richiedere diversi anni per potersi degradare;
- vengono comunque rilasciate microplastiche, seppur da biopolimeri, che possono alterare la composizione del suolo, nonché causare problemi di ingestione e soffocamento nella fauna;
- nell’ambiente, può alterare i processi di fotosintesi e limitare il corretto sviluppo delle specie vegetali.
Certo, non prevedendo derivati del petrolio e altri composti chimici dannosi, la bioplastica non espone al rischio di contaminazione del terreno con inquinanti perenni, né ha un impatto significativo in termini di interferenti endocrini. Eppure può far danni, poiché l’effettiva biodegradabilità si ha solo con il corretto smaltimento e il conferimento in appositi impianti di decomposizione.
Non va meglio per la plastica compostabile che, secondo un’analisi dell’UNEP, può trasformarsi in compost solo se correttamente conferita, non quando abbandonata nell’ambiente. Anzi, a livello mondiale ben il 60% dei sacchetti compostabili si accumula come rifiuto, poiché non esistono sufficienti impianti di compostaggio industriale. E una volta nell’ambiente, possono impiegare diversi anni per decomporsi, nel frattempo contaminando il terreno.
In definitiva, buste e sacchetti di plastica – anche bio e compostabile – devono essere sempre smaltiti correttamente, poiché le conseguenze sull’ambiente sono enormi!
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