Punto di vista

Rubinetto, caraffa filtrante o in bottiglia: che acqua scegliere?


Un confronto sulle caratteristiche e il punto su cosa prevede la legge

Che sia importante bere, lo sappiamo tutti. Quello di cui non siamo del tutto certi è quale acqua: è meglio la minerale o sicura anche quella di rubinetto?

Pare proprio che noi italiani dell’acqua pubblica ci fidiamo molto poco, visto che siamo in testa alla classifica europea per consumo di acqua in bottiglia, nonostante il costo in più. Forse per le pubblicità (più volte denunciate come ingannevoli) che presentano alcuni marchi di minerali come “miracolosi” per salute e bellezza, o forse per episodi, come quello dei PFAS in Veneto, fatto sta che l’ago della bilancia pende decisamente per l’acqua in bottiglia, vista nell’immaginario collettivo pura e incontaminata, a differenza di quella che sgorga dal rubinetto. Ma sarà davvero così?

Il mio consiglio è di non farsi troppo impressionare dai singoli casi, come quello accaduto in Veneto: è certamente grave, ma non indicativo sulla qualità dell’acqua potabile in assoluto. Pensateci bene, se una sostanza inquinante raggiungesse le falde sotterranee, sarebbe ugualmente contaminata l’acqua minerale di una sorgente della zona!

Nel confronto tra acquedotto e minerali, quindi, cerchiamo di prendere in considerazione solo i fatti oggettivi: le principali differenze su origine, normativa per la sicurezza, qualità e caratteristiche.
Dimenticate pubblicità fuorvianti e discorsi di chi non è super partes ma vuole “tirare l’acqua al proprio mulino” (metaforicamente e non). Ecco tutta la verità sull’acqua, quella in bottiglia, quella del rubinetto e sulle famose caraffe filtranti, con un occhio alla salute e uno all’ambiente.

ACQUA MINERALE

Foto: www.ilgiornaledelcibo.it

Il principale aspetto che le caratterizza, e che le differenzia rispetto all’acqua che sgorga dal rubinetto, è che le acque minerali devono provenire da una falda o un giacimento sotterraneo, da sorgenti quindi considerate pure dal punto di vista chimico, fisico e idrogeologico. Affinchè un’acqua prelevata dalla sorgente ottenga il riconoscimento di acqua minerale da parte del Ministero della Salute, l’azienda deve fornire una documentazione che comprenda tra le altre cose 4 analisi chimiche e chimico fisiche stagionali e 4 analisi microbiologiche stagionali (effettuate presso laboratori pubblici autorizzati dal Ministero), così come prevede il Decreto 10 febbraio 2015. Lo stesso prevede che, anche dopo il riconoscimento, i controlli sugli stessi parametri di qualità debbano essere svolti annualmente dall’azienda produttrice: si tratta quindi di un’autocertificazione, che attesta che la sorgente è sempre pura e che non ci sono state contaminazioni. Oltre a sperare nella buona fede dell’azienda, bisogna anche tenere presente che rischierebbe grosso in caso di mancata o falsa dichiarazione, fino a perdere il riconoscimento del Ministero e non poter più commercializzare l’acqua. Dal momento poi che l’acqua in bottiglia è un prodotto alimentare, è soggetta anche a controlli governativi, sia agli impianti di imbottigliamento, sia soprattutto sui lotti in vendita al pubblico, con campionamenti e controlli chimici e microbiologici costanti e regolari: se un valore non è a norma di legge, il lotto viene immediatamente ritirato dal mercato, con conseguenti multe a carico dell’azienda, indagini e verifiche istituzionali (la normativa delle acque minerali non prevede alcun tipo di deroga sui limiti fissati sia per i parametri chimici che per i microbiologici). Quindi dovremmo stare sicuri da questo punto di vista.
Per quanto riguarda il numero dei parametri presi in considerazione per le analisi, quello delle acque minerali è minore rispetto a quelle dell’acquedotto perché il presupposto è che siano già pure in origine, visto che l’iter per il riconoscimento si basa su requisiti molto rigidi, e perché si sostiene che abbiano bisogno di meno controlli dal momento non subiscono alcun tipo di trattamento: l’acqua, come sgorga dalla sorgente, così deve essere imbottigliata (è consentita unicamente l’aggiunta di anidride carbonica, per rendere l’acqua frizzante). Non vengono svolte analisi su parametri come il clorito o il bromato, perché sono sostanze utilizzate nei trattamenti di disinfezione, non ammessi dalla legge nel caso delle acque minerali; inoltre non vengono ricercati alcuni composti come benzene, idrocarburi policiclici aromatici, antiparassitari, perché sostanze o composti derivanti dall’attività antropica possono essere presenti solo nelle acque superficiali e non nelle sorgenti, da cui le minerali provengono.
Merita un cenno anche il fatto che le acque minerali non possono essere trasportate in cisterne o navi, ma solo nelle tubature dell’impianto di raccolta alla fonte, per escludere contaminazioni con i materiali di trasporto. Poi la differenza la fa il materiale della bottiglia: sicuramente preferibile il vetro, sia per il ridotto impatto ambientale (soprattutto se l’azienda offre il sistema del vuoto a rendere), sia perché è un materiale inerte, che non ha controindicazioni per la salute. Non si può dire lo stesso del PET, il tipo di plastica utilizzata per le bottiglie d’acqua, che va conservato lontano da fonti di calore per evitare che rilasci sostanze tossiche come antimonio, acetaldeide e formaldeide.

 

GUARDA I PARAMETRI A CONFRONTO

 

ACQUA DI RUBINETTO

Foto: dilei.it

È sicuramente la migliore dal punto di vista ambientale: oltre a quello del contenitore, non ha nemmeno il problema del trasporto. Eppure, agli italiani non convince. Che sia per via delle numerose pubblicità di acque minerali, che vantano particolari proprietà per la salute? Intendiamoci, non insinuo che non le abbiano, ma forse l’acqua potabile, quella del rubinetto, non è da meno. Altroconsumo ha svolto un’indagine, analizzando il contenuto di 40 marchi di minerali e dell’acqua potabile prelavata in 8 grandi città: tutti i campioni si sono rivelati privi di sostanze pericolose per la salute e tutti di qualità, ma con caratteristiche molto simili. Riguardo al contenuto di sali minerali, infatti, quasi sempre l’acqua di rubinetto si è rivelata una oligominerale (quella a basso contenuto di minerali, la più indicata per il consumo quotidiano), come la maggior parte delle acque in bottiglia; il parametro che variava di più era la durezza, ovvero il calcare, ma non ha nessun effetto sulla salute: la teoria che causi calcoli renali è già stata smentita più volte.
La differenza principale, rispetto alle minerali, è la provenienza. L’acqua di rubinetto può provenire da fonti sotterranee ma anche superficiali, come fiumi e laghi, da qui la necessità di trattamenti per renderla potabile: quelli fisici, come la filtrazione per rimuovere residui, e quelli chimici, per la disinfezione, solitamente a base di cloro, che elimina microrganismi batterici e inquinanti derivati dall’attività umana; sicuro per la salute, secondo gli esperti, anche se può alterare il gusto dell’acqua. Luca Lucentini, Direttore del Reparto di Igiene delle Acque Interne, avverte però che nella maggioranza dei casi (l’85%) l’acqua di rubinetto proviene da falde sotterranee, magari le stesse dell’acqua minerale che compriamo, e hanno perciò la stessa qualità.
Veniamo all’aspetto controlli. Il sistema è capillare, avviene su tutta la rete idrica, dai pozzi da cui si preleva l’acqua fino alla rete di distribuzione, e la verifica è duplice: c’è il cosiddetto controllo interno, che spetta al gestore dell’acquedotto, più quello esterno, ad opera dell’Asl di competenza locale, che deve esprimere il giudizio di idoneità. L’acqua, affinché sia considerata idonea al consumo umano, deve essere conforme a dei parametri chimico-fisici e microbiologici stabiliti dall’OMS, recepiti in Italia con il D.Lgs 31/2011; esistono anche parametri definiti indicatori, che non sono correlati a rischi per la salute ma riguardano solo le caratteristiche dell’acqua, e quelli detti “emergenti”, per cui ancora non è prevista una normativa uniforme ma che sono tenuti sotto controllo in seguito a eventi accaduti negli ultimi anni (ad esempio l’amianto o i PFAS). Il decreto stabilisce la quantità minima di controlli annuali, il cui numero aumenta insieme all’aumentare del volume di acqua distribuito, ma le Asl possono decidere di farne di ulteriori.
E cosa succede se uno o più parametri non vengono rispettati? In Italia abbiamo alcuni casi di deroghe, in particolari per 3 elementi (arsenico, fluoro e boro), ma si tratta di casi eccezionali. Il Dott. Lucentini afferma che oltre il 99% dell’acqua potabile è conforme alla legge, e la non conformità è dovuta, come nel caso dell’arsenico, a caratteristiche del territorio, per ora non rischiosa per la salute; la possibilità di ricorrere alla deroga comunque non deve suscitare meraviglia o allarmismi, si tratta di un provvedimento temporaneo per il periodo di tempo necessario a risolvere il problema, preferibile all’opzione di rendere indisponibile l’acqua potabile, se non ci sono controindicazioni per la salute (nel caso dell’arsenico, l’OMS indica la possibilità di superare il limite stabilito dalla legge di 10 µg/l, purché non si oltrepassi, come valore massimo accettabile, una concentrazione di 20 µg/l, per un periodo limitato di tempo).
Se la composizione dell’acqua minerale si legge in etichetta, possiamo conoscere caratteristiche e contenuto di sali minerali anche di quella di rubinetto, consultando il sito del gestore dell’acquedotto. Per quanto riguarda qualità e sicurezza, i controlli garantiscono per tutta la filiera, fino alle abitazioni private: da qui in poi la responsabilità è del proprietario. Esiste un rischio di migrazione di alcune sostanze, come il piombo, se le tubature sono di questo materiale, ma riguarda soprattutto i vecchi condomini, risalenti agli anni ’60.

 

CARAFFE FILTRANTI

Foto: www.pianetadonna.it

Il Dott. Lucentini quindi sostiene che nella maggior parte dei casi l’acqua di rubinetto è molto simile a quella in bottiglia; al massimo può cambiare il sapore, sia per la composizione, sia per residui di cloro utilizzato nella disinfezione. Se il problema è solo il gusto da migliorare, una soluzione potrebbero essere le caraffe filtranti: dal momento che il 70% dei prodotti che troviamo in Italia è del brand BRITA®, ho rivolto a loro tutti i miei dubbi e domande. Ho parlato di come funzionano e anche dell’aspetto ecologico insieme a Lorenzo Sarvello, Managing Director, che innanzi tutto mi ha spiegato in maniera molto trasparente che le caraffe filtranti non depurano, partono dal presupposto che l’acqua di rubinetto sia già salubre e già oggetto di numerosi controlli: «residui di sostanze chimiche e metalli pesanti vengono già eliminati o, comunque, portati sotto i limiti di sicurezza durante il processo di potabilizzazione delle acque, quindi non dovrebbe essere necessario ridurli con un ulteriore passaggio di filtrazione. La carica batterica dell’acqua viene abbattuta grazie al cloro, che non è nocivo ma altera il sapore dell’acqua.»
Quindi le caraffe filtranti aiutano a rendere più gradevole l’acqua di rubinetto, trattenendo cloro, ma anche calcare ed eventuali tracce di metalli pesanti come il piombo, riducendone il contenuto. Ma come funzionano? «Sono dotate di filtri, composti da carboni attivi, naturali, che assorbono il cloro, e resine a scambio ionico che sciolgono i carbonati di calcio (calcare) e rendono l’acqua più leggera e dolce, oltre a trattenere i metalli pesanti.»
Dal punto di vista ambientale, il vero problema delle caraffe filtranti è lo smaltimento dei filtri. Sono una combinazione di plastica, resine e materiali organici, quindi vanno conferiti nella raccolta indiffereziata: l’azienda ammette che ora la caraffa non è una soluzione sostenibile al 100%, ma stanno elaborando delle alternative, come ad esempio un guscio in plastica fisso e un ricambio interno sostituibile e riciclabile. Comunque, la quantità di filtri gettati è decisamente minore rispetto alla quantità di bottiglie in plastica accumulate.

 

Il quadro che ne esce, per me, è che non ci sia una risposta su quale acqua è meglio dell’altra: che siano minerali o da acquedotto, sono entrambe sicure per la salute. Per l’ambiente, sicuramente l’impatto minore ce l’ha l’acqua del rubinetto: se il sapore nella vostra zona non è particolarmente gradevole, potete sempre migliorarlo con una caraffa filtrante. Se invece non potete proprio fare a meno della minerale, preferite quella in bottiglie di vetro, meglio ancora se vuoto a rendere.
Quello che è sicuro è l’impatto zero non esiste, così come evitare inquinanti al 100% ormai è impossibile: si tratta solo di fare la scelta che ci sembra meno rischiosa, da tutti i punti di vista. Quale sarà la vostra?

 

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