Punto di vista

Quali sono i cibi ad avere un maggiore impatto sull’ambiente?


Tessa, cibi a impatto ambientale

Quando si parla di alimentazione il riferimento è quasi sempre a quelli che sono i valori nutrizionali degli alimenti e alla capacità o meno di fornire determinate sostanze nutritive. C’è però, o quantomeno dovrebbe esserci, un ulteriore aspetto di cui tenere grande considerazione: l’impatto ambientale dei cibi, che sia in termini generali o con un riferimento specifico al consumo di acqua, di suolo o alla produzione di Co2.

Ragionando in questo senso, come è possibile compiere la scelta migliore riducendo il nostro impatto ambientale a tavola?

Alimenti a maggiore produzione di CO2

Cucina impatto ambientale cibi

Per quanto riguarda la produzione di CO2 occorre fare una prima distinzione. Esistono determinati alimenti la cui produzione di anidride carbonica è strettamente legata al processo produttivo, mentre altri risultano tra i peggiori a causa della distanza da percorrere affinché arrivino sulle nostre tavole. Guardando a quest’ultimo aspetto, secondo Coldiretti, i cibi più “cattivi” sono:

  • Ciliegie dal Cile: 21,55 Kg di CO2, derivati da una distanza di circa 11.968 Km;
  • Mirtilli dall’Argentina: 20,13 Kg di CO2, distanza 11.178 Km;
  • Asparagi dal Perù: 19,54 Kg di CO2,10.852 Km;
  • Noci dalla California: 18,90 Kg di CO2, 10.497 Km;
  • More dal Messico: 18,30 Kg di CO2, 10.162 Km;
  • Anguria dal Brasile: 16,56 Kg di CO2, 9.198 Km;
  • Meloni da Guadalupe: 14,05 Kg di CO2, 7.800 Km;
  • Melograni da Israele: 4,05 Kg di CO2, 2.250 Km;
  • Fagiolini dall’Egitto: 3,84 Kg di CO2, 2.132 Km.

Decisamente un motivo in più per scegliere prodotti a km 0 o Italia, la cui produzione di CO2 derivata dal trasporto sarà fortemente ridotta rispetto ai cibi di importazione.

Per quanto riguarda invece gli alimenti che hanno un forte consumo di CO2 legato strettamente alla produzione in testa troviamo carni e formaggi. In cima, di gran lunga più impattante sull’ambiente di qualsiasi altro cibo, c’è la carne di manzo.

Mucche vacche bovini

A pesare è soprattutto il sistema di allevamento, che per l’assoluta maggioranza fa riferimento al tipo “intensivo”. Da sottolineare anche le altissime emissioni climalteranti di metano e ossido d’azoto, legate alle digestione dei bovini.

A seguire troviamo la carne di agnello e di montone, seguita dal formaggio e dai latticini prodotti con latte vaccino. Questi, quindi, i primi 10 alimenti per consumo di CO2, secondo la fondazione Openpolis:

  • Carne di manzo;
  • Carne di agnello e montone;
  • Formaggio;
  • Vacche (latticini);
  • Cioccolato fondente;
  • Caffè;
  • Carne di maiale;
  • Pollame;
  • Pesce (da allevamento);
  • Uova.

Cibi a maggiore impatto ambientale: consumo di acqua

Caffè, impatto ambientale

Sarebbe facile prendere di mira la carne di manzo anche per il consumo di acqua, è nelle primissime posizioni e occupa saldamente il terzo gradino del podio, ma non è in vetta.

Questa volta a recitare la parte del “cattivo” è il cioccolato, tanto buono per quanto riguarda il suo sapore, ma non altrettanto per il consumo idrico. Servono circa 20.000 litri d’acqua per 1 Kg di prodotto, mentre ne richiede più o meno 18.900 1 Kg di caffè tostato. Arriviamo alla carne di manzo, che secondo il Water Footprint Network si ottiene consumando intorno ai 15.400 litri per ogni chilogrammo di prodotto finale.

Abbondante anche l’impiego per arrivare a 1 Kg di carne di maiale (6.000 litri) o pollo (4.300), mentre per le uova ne servono 3.300 per ogni chilo. Da non sottovalutare anche quello del burro, circa 5.550 litri, o della lattuga (più o meno 5.500). Per capire meglio la portata del consumo facciamo un veloce confronto con la frutta: 1 kg di mele richiede circa 800 litri d’acqua, mentre 1 chilo di banane circa 790.

Consumo di suolo

Da tenere sempre in dovuta considerazione c’è anche il consumo di suolo, per il quale è probabilmente più indicato procedere in un’ottica differente. Più che per singolo alimento occorre ragionare su quelle che sono le tecniche produttive. 

La coltivazione biologica rispetta la natura, oltre a valorizzare la biodiversità circostante e riduce fortemente l’impatto ambientale dei cibi durante l’intero processo.

Meno bucolico è invece il discorso legato alle coltivazioni e agli allevamenti intensivi, che necessitano di ampi spazi. Il consumo di suolo riferito ai secondi fa riferimento perlopiù alla produzione di mangimistica: una singola vacca da latte può arrivare a consumare oltre 40 chilogrammi di fieno al giorno, che arriverà in molti casi proprio da coltivazioni intensive. Non molto inferiore quello dei bovini da carne, che si attesta sui 10 kg di mangime concentrato.

Da preferire quindi coltivazioni biologiche e non intensive, ricordandosi che anche in caso di consumo di carne è sempre consigliato fare riferimento ad allevamenti bio o da pascolo, rispettosi (per quanto possibile) del benessere animale. Cercando in ogni caso di ridurre il consumo di latte e carne di manzo, con quest’ultima spesso in vetta tra gli alimenti a maggiore impronta ambientale.

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